Esiste un diritto a non nascere se non sani?
Il diritto alla vita e alla salute sono entrambi diritti indisponibili, e in alcuni casi necessitano di essere contemperati. Si pensi al caso in cui la gravidanza costituisca un grave pregiudizio per la salute fisica o psichica della gestante. L’ipotesi classica è rappresentata dalla diagnosi di patologie gravi di cui è affetto il nascituro (malattie, sindromi) che, possono rappresentare un grave turbamento psichico della futura mamma e legittimano il ricorso al c.d. aborto terapeutico.
In casi simili si è sempre portati a pensare e a tutelare le scelte della futura mamma ma, per un attimo, pensiamo al nascituro: in assenza di una corretta diagnosi prenatale potrà invocare il diritto a non nascere? Quale tutela viene riconosciuta?
In assenza di una specifica norma di legge, la magistratura è stata chiamata a dare una risposta alle domande che noi ci siamo poste, affermando che: non esiste un diritto a non nascere se non sani bensì esiste un diritto ad avere una diagnosi corretta per poter ricorrere alle cure che il caso specifico richieda.
In altre parole, si è rilevato che nel caso di omessa diagnosi prenatale non solo si è preclusa la possibilità per i neogenitori di autodeterminarsi effettuando una scelta consapevole: ricorrere all’aborto terapeutico nei termini previsti o “prepararsi” alle condizioni di vita del piccolo, bensì deve essere riconosciuta la lesione del diritto alla piena estrinsecazione della personalità del piccolo, protetto dagli artt. 2 e 3 della Costituzione.
In casi simili si assiste ad una limitazione del pieno sviluppo della persona affetta da malformazioni che, altresì, entra a far parte di un nucleo familiare alterato che impedisce o rende più ardua la concreta e costante attuazione dei diritti-doveri dei genitori sancita da dettato costituzionale, che tutela la vita familiare nel suo libero e sereno svolgimento sotto il profilo dell’istruzione, educazione, mantenimento dei figli.
Per “riparare” tale lesione, può essere richiesta una tutela risarcitoria dall’intero nucleo familiare del bimbo nato malformato, in quanto tutti i componenti del nucleo familiare rientrano a pieno titolo tra i soggetti protetti dal rapporto intercorrente tra il medico e la gestante, nei cui confronti la prestazione è dovuta.
Sotto il profilo della quantificazione del danno si è consolidato l’orientamento secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale deve avvenire secondo il criterio dell’equità.
Tuttavia, per garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, tra i criteri in astratto adottabili deve ritenersi preferibile il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ.
In ogni caso, nella valutazione equitativa non si potrà prescindere da alcune considerazioni:
- la specificità e gravità della patologia cui è affetto il piccolo.
- dell’effetto negativo legato alla crescita del figlio (in altri contesti vissuta con gioia ed aspettative), cui si accompagna un aumento delle incombenze legate all’accudimento, senza alcuna diminuzione della sofferenza dei genitori.
- dell’impatto negativo sulla vita familiare, di cui, con alto grado di probabilità se non di certezza, può predicarsi il deterioramento in termini di serenità,
- della riduzione o, comunque, compromissione dei rapporti verso gli altri figli, il cui bisogno di attenzione e cure verrà sicuramente posposto a quello del fratello/sorella malata.
- l’ansia e l’angoscia causata dalla preoccupazione legate alla salute del piccolo nato malato.
- il mutamento delle abitudini di vita per poter assistere il figlio nato menomato.
- il fatto di essersi trovati, senza alcuna preparazione psicologica, di fronte alla realtà di un figlio sofferente.